Sì, caro Silvio, eccovi la mia destra. Prometto di essere vostra sposa. (Oh la bella cosa! Propriamente anch'io me ne struggo di voglia). (Certo, che questa è la migliore vivanda). Caro Silvio, mi fate torto. Sapete pur, se vi amo; per obbedire il signor padre, averei sposato quel turinese; ma il mio cuore è sempre stato per voi. Subito. Signor padre, con vostra buona licenza. Signore, è un servitore di un forestiere, che vorrebbe farvi un'imbasciata. A me non ha voluto dir nulla. Dice, che vuol parlar col padrone. Lo farò venire. Ma io, me ne anderei, signor padre. Che so io? Nella mia camera. E di più è sposa. Sono la sua cameriera, signore. Oh! Signor no. Anche l'idea l'ha buona. (Non mi dispiace quel morettino). Se fosse vero, ch'ei fosse qui, sarebbe per me una nuova troppo cattiva. (Silvio mio, tremo tutta). (Eppure quel morettino non ha una fisonomia da bugiardo. Voglio veder se mi riesce...) Con buona grazia di lor signori. Signor Pantalone, la gentilezza che io ho ammirato nelle vostre lettere non corrisponde al trattamento che voi mi fate in persona. Vi mando il servo, vi fo passar l'ambasciata, e voi mi fate stare all'aria aperta, senza degnarvi di farmi entrare, che dopo una mezz'ora? Federigo Rasponi di Torino, per obbedirvi. Lo so; fu detto, che in una rissa rimasi estinto. Grazie al Cielo, fui solamente ferito; e appena risanato intrapresi il viaggio di Venezia, già da gran tempo con voi concertato. È giustissimo il vostro dubbio; conosco la necessità di giustificarmi. Eccovi quattro lettere de' vostri amici corrispondenti, una delle quali è del ministro della nostra banca. Riconoscerete le firme, e vi accerterete dell'esser mio. (Ah Silvio, siamo perduti!). (Oimè! Qui Brighella? Come diamine qui si ritrova costui? Egli mi conoscerà certamente; non vorrei, che mi discoprisse) Amico, mi par di conoscervi. Ah sì, ora vi riconosco. Bravo galantuomo, che fate in Venezia? (Per amor del Cielo non mi scoprite). Oh, per l'appunto; giacché ho il piacer di conoscervi, verrò ad alloggiare alla vostra locanda. Se qualche dubbio ancor vi restasse, ecco qui messer Brighella; egli mi conosce, egli può assicurarvi dell'esser mio (Dieci doppie per te). Signor padre, quegli è dunque il signor Federigo Rasponi? (Me infelice, che sarà di noi?). Signor Pantalone, chi è quella signora? Quella a me destinata in isposa? Signora, permettetemi, ch'io abbia l'onore di riverirvi. Serva divota. Molto freddamente m'accoglie. E quel signore, è qualche vostro parente? Come! Voi sposo della signora Clarice? Non è ella a me destinata? Io poi non sono sì delicato. La prenderò non ostante. (Voglio anche prendermi un poco di divertimento). Spero, che la signora Clarice non ricuserà la mia mano. (No, no, per questa via non voglio morire). Ma voi, signora sposa, non dite nulla? Dico che siete venuto per tormentarmi. Fermatevi, signor Pantalone; la compatisco. Non conviene prenderla con asprezza. Col tempo spero di potermi meritare la di lei grazia. Intanto andremo esaminando i nostri conti, che è uno dei due motivi, per cui, come vi è noto, mi son portato a Venezia. Verrò con più comodo a riverirvi; per ora, se mi permettete, andrò con Brighella a spedire alcuni piccioli affari, che mi sono stati raccomandati. Egli è pratico della città, potrà giovarmi nelle mie premure. Se mi darete un poco di denaro, mi farete piacere, non ho voluto prenderne meco; per non discapitare nelle monete. Certamente; vado da lui; e poi manderò il mio servitore; egli è fidatissimo, gli si può fidar ogni cosa. Per oggi vi ringrazio. Un'altra volta sarò a incomodarvi. Non vi prendete pena per me. Chetatevi, per amor del Cielo, non mi scoprite. Il povero mio fratello è morto, ed è rimasto ucciso, o dalle mani di Florindo Aretusi, o da alcun altro per di lui cagione. Vi sovverrete, che Florindo mi amava, e mio fratello non voleva, che io gli corrispondessi. Si attaccarono, non so come, Federigo morì, e Florindo, per timore della giustizia se n'è fuggito, senza potermi dare un addio. Sa il Cielo, se mi dispiace la morte del povero mio fratello, e quanto ho pianto per sua cagione; ma oramai non vi è più rimedio, e mi duole la perdita di Florindo. So, che a Venezia erasi egli addrizzato, ed io ho fatto la risoluzione di seguitarlo. Cogli abiti, e colle lettere credenziali di mio fratello, eccomi qui arrivata colla speranza di ritrovarvi l'amante. Il signor Pantalone, in grazia di quelle lettere, e in grazia molto più della vostra asserzione, mi crede già Federigo. Faremo il saldo de' nostri conti, riscuoterò del denaro, e potrò soccorrere anche Florindo, se ne avrà di bisogno. Guardate dove conduce amore! Secondatemi, caro Brighella, aiutatemi; sarete largamente ricompensato. Come burlato? Morto mio fratello, non sono io l'erede? Se mi scopro non faccio nulla. Pantalone principierà a volermi far da tutore; e tutti mi seccheranno, che non istà bene, che non conviene, e che so io? Voglio la mia libertà. Durerà poco, ma pazienza. Frattanto qualche cosa sarà. Andiamo alla vostra locanda. Ha detto, che mi aspetterà sulla strada. L'ho preso per viaggio. Pare sciocco qualche volta, ma non lo è, e circa la fedeltà non me ne posso dolere. Questo non è niente. Amor ne fa far di peggio. Bravissimo. Così mi aspetti? E perché vieni a aspettarmi qui, e non nella strada dove ti ho detto? È un accidente, che ti abbia ritrovato. Orsù, va' in questo momento alla barca del corriere. Fatti consegnare il mio baule, e portalo alla locanda di messer Brighella... Bene dunque, sbrigati, che ti aspetto. Tieni; nello stesso tempo anderai alla posta di Turino, e domanderai, se vi sono mie lettere. Anzi domanda, se vi sono lettere di Federigo Rasponi, e di Beatrice Rasponi. Aveva da venir meco anche mia sorella, e per un incomodo è restata in villa; qualche amica le potrebbe scrivere; guarda se ci sono lettere, o per lei, o per me. (Ho lasciato ordine, che mi si scriva ad un servitor mio fedele, che amministra le cose della mia casa; non so con qual nome egli mi possa scrivere. Ma andiamo che con comodo vi narrerò ogni cosa). Spicciati, va' alla posta, e va' alla corriera. Prendi le lettere, fa' portar il baule nella locanda, ti aspetto. È questo il mio baule? Portatelo nella mia camera. Domandatelo al cameriere. Andate, che vi pagherò. Non mi seccate. Sei stato alla posta? Lettere mie ve ne sono? Bene, dov'è? Questa lettera è stata aperta. Aperta, e sigillata ora col pane. Non lo sapresti eh? Briccone, indegno, chi ha aperto questa lettera? Voglio saperlo. Se la cosa fosse così, non vi sarebbe male. L'hai letta questa lettera? Sai che cosa contiene? L'ha veduta nessuno? Bada bene, veh! (Non vorrei, che costui m'ingannasse). (Tognino è un servitore fedele. Gli ho dell'obbligazione). Orsù io vado per un interesse poco lontano. Tu va' nella locanda, apri il baule, eccoti le chiavi, e da' un poco d'aria alli miei vestiti. Quando torno si pranzerà. (Il signor Pantalone non si vede, ed a me premono queste monete). Siete padrone di me, signor padre, ma questa, compatitemi, è una tirannia. La soggezione, il rispetto, mi fecero ammutolire. Non posso, signor padre. Federigo non lo sposerò certamente. È odioso agli occhi miei. Come mai, signore? Silvio è troppo fortemente impresso nell'anima mia; e voi coll'approvazione vostra lo avete ancora più radicato. Il mio cuore non è capace di uno sforzo sì grande. Signor padrone, è qui il signor Federigo, che vuol riverirla. Oimè Che tormento! Che avete, signora padrona? Piangete? In verità avete torto. Non avete veduto com'è bellino il signor Federigo? Se toccasse a me una tal fortuna, non vorrei piangere no; vorrei ridere con tanto di bocca. Ma se mi sento scoppiar il cuore! Riverisco il signor Pantalone. Io no. Sì, non vi è pericolo. Non l'ho veduto; me li darà, quando torno a casa. (Che ha la signora Clarice, che piange?). (Fate una cosa, signor Pantalone, lasciatemi un momento in libertà con lei, per vedere se mi riuscisse d'aver una buona parola). Deh, signora Clarice... Scostatevi, e non ardite d'importunarmi. Così severa con chi vi è destinato in consorte? Se sarò strascinata per forza alle vostre nozze, avrete da me la mano, ma non il cuore. Voi siete sdegnata meco, eppure io spero placarvi. V'aborrirò in eterno. Se mi conosceste, voi non direste così. Vi conosco abbastanza per lo sturbatore della mia pace. Ma io ho il modo di consolarvi. V'ingannate; altri che Silvio consolare non mi potrebbe. Certo, che non posso darvi quella consolazione, che darvi potrebbe il vostro Silvio, ma posso contribuire alle vostre felicità. Mi par assai, signore, che parlandovi io in una maniera la più aspra del mondo, vogliate ancor tormentarmi. (Questa povera giovane mi fa pietà; non ho cuore di vederla penare). (La passione mi fa diventare ardita, temeraria, incivile). Signora Clarice, vi ho da confidare un segreto. Non vi prometto la segretezza. Tralasciate di confidarmelo. La vostra austerità mi toglie il modo di potervi render felice. Voi non mi potete rendere, che sventurata. V'ingannate; e per convincervi vi parlerò schiettamente. Se voi non volete me, io non saprei, che fare di voi. Se avete ad altri impegnata la destra, anch'io con altri ho impegnato il cuore. Ora cominciate a piacermi. Non vel dissi, che aveva io il modo di consolarvi? Ah temo, che mi deludiate. No, signora, non fingo. Parlovi con il cuore sulle labbra; e se mi promettete quella segretezza, che mi negaste poc'anzi, vi confiderò un arcano, che metterà in sicuro la vostra pace. Giuro di osservare il più rigoroso silenzio. Io non sono Federigo Rasponi, ma Beatrice di lui sorella. Oh! che mi dite mai! Voi donna? Sì, tale io sono. Pensate, se aspiravo di cuore alle vostre nozze! E di vostro fratello, che nuova ci date? Egli morì purtroppo d'un colpo di spada che lo passò dal petto alle reni. Fu creduto autore della di lui morte un amante mio, di cui sotto di queste spoglie mi porto in traccia. Pregovi per tutte le sacre leggi d'amicizia, e d'amore di non tradirmi. So, che incauta sono io stata confidandovi un tale arcano, ma l'ho fatto per più motivi; primieramente, perché mi doleva vedervi afflitta; in secondo luogo, perché mi pare conoscere in voi, che siate una ragazza da potersi compromettere di segretezza; per ultimo, perché il vostro Silvio mi ha minacciato, e non vorrei, che sollecitato da voi, mi ponesse in qualche cimento. A Silvio mi permettete voi, ch'io lo dica? No, anzi ve lo proibisco assolutamente. Bene, non parlerò. Badate, che mi fido di voi. Ve lo giuro di nuovo, non parlerò. Ora non mi guarderete più di mal occhio. Anzi vi sarò amica; e, se posso giovarvi, disponete di me. Anch'io vi giuro eterna la mia amicizia. Datemi la vostra mano. Eh, non vorrei... Avete paura, ch'io non sia donna? Vi darò evidenti riprove della verità. Credetemi, ancora mi pare un sogno. Infatti la cosa non è ordinaria. È stravagantissima. Orsù, io me ne voglio andare. Tocchiamoci la mano, in segno di buona amicizia, e di fedeltà. Ecco la mano; non ho nessun dubbio, che m'inganniate. Non vel dissi, signor Pantalone, che io l'averei placata? (Ora sono in un laberinto maggiore). Non abbiate tanta fretta, signore. Sarà necessario, signor Pantalone, che prima accomodiamo le nostre partite, che vediamo il nostro conteggio. Deh, signor padre... Non lo irritate per amor del Cielo. Non dico questo. Ma... Udite... Piuttosto... Ah signora Beatrice, esco da un affanno, per entrare in un altro. Abbiate pazienza. Tutto può succedere, fuor ch'io vi sposi. E se Silvio mi crede infedele? Durerà per poco l'inganno. Se gli potessi svelare la verità... Io non vi disimpegno dal giuramento. Che devo fare dunque? Soffrire un poco. Dubito, che sia troppo penosa una tal sofferenza. Non dubitate, che dopo i timori, dopo gli affanni, riescono più graditi gli amorosi contenti. Non posso lusingarmi di provar i contenti finché mi vedo circondata da pene. Ah purtroppo egli è vero; in questa vita, per lo più o si pena, o si spera, e poche volte si gode. Eccomi; sono io in vostra difesa. (Son nell'impegno). Non è la prima volta, che io mi sia cimentato. Son qui, non ho timore di voi. Oimè! Fermate. Bella Clarice, in grazia vostra dono a Silvio la vita, e voi in ricompensa della mia pietà, ricordatevi del giuramento. Siete salvo, o mio caro? No, Silvio, non merito i vostri rimproveri. V'amo, v'adoro, vi son fedele. Ciò non feci, né farò mai. Morirò, prima d'abbandonarvi. Mio padre non poteva dirlo. Non so negarlo. Clarice sa custodir l'onor suo. Mio padre lo lasciò meco. Sarei fuggita con molto piacere. Il giuramento non mi obbligava di trattenermi. Caro Silvio, compatitemi, non posso dirlo. Perché giurai di tacere. No; sono innocente. Eppure questa volta, rea mi farei parlando. A Federigo. L'osserverò per non divenire spergiura. Se non vi amassi, non sarei corsa qui a precipizio per difendere la vostra vita. Vi amo con tutto il cuore. Morirò, se non vi placate. Saprò soddisfarvi. Questa spada vi renderà dunque contento. (Vo' vedere fin dove arriva la sua crudeltà). Così barbaro colla vostra Clarice? Dunque bramate la morte mia? Vi saprò compiacere. Fermatevi; che diamine fate? E voi, cane rinnegato, l'avreste lasciata morire? Che cuore avete di tigre, di leone, di diavolo? Guardate lì, il bel suggettino, per cui le donne s'abbiano a sbudellare! Oh siete pur buona, signora padrona. Non vi vuole più forse? Chi non vi vuol, non vi merita. Vada all'inferno questo sicario, e voi venite meco, che degli uomini non ne mancano, m'impegno avanti sera trovarvene una dozzina. Ingrato! Possibile, che la mia morte non vi costasse un sospiro? Sì, mi ucciderà il dolore; morirò, sarete contento. Però vi sarà nota un giorno la mia innocenza, e tardi allora pentito di non avermi creduto, piangerete la mia sventura, e la vostra barbara crudeltà. Questa è una cosa, che non so capire. Veder una ragazza, che si vuol ammazzare, e star lì a guardarla, come se vedeste rappresentare una scena di commedia. Non so altro io; so, che se non arrivava a tempo, la poverina sarebbe ita. Sentite, che bugiardo! Se stava lì, lì, per entrare. Sì, se fossimo, come voi. Dirò come dice il proverbio: noi abbiamo le voci, e voi altri avete le noci. Le donne hanno la fama di essere infedeli, e gli uomini commettono le infedeltà a più non posso. Delle donne si parla, e degli uomini non si dice nulla. Noi siamo criticate, e a voi altri si passa tutto. Sapete perché? Perché le leggi le hanno fatte gli uomini, che se le avessero fatte le donne, si sentirebbe tutto il contrario. S'io comandassi, vorrei, che tutti gli uomini infedeli portassero un ramo d'albero in mano, e so che tutte le città diventerebbero boschi. Ehi, Truffaldino? Il signor Pantalone de' Bisognosi ti ha dato una borsa con cento ducati? E perché dunque non me la dai? Se viene a me? Che cosa ti ha detto, quando ti ha dato la borsa? Bene, il tuo padrone chi è? E perché domandi dunque, se la borsa è mia? Dov'è la borsa? Sono giusti? (Li conterò poi). Vi è il padrone della locanda? Digli, che averò un amico a pranzo con me; che presto presto proccuri di accrescer la tavola più che può. Il signor Pantalone de' Bisognosi non è uomo di gran soggezione. Digli, che faccia cinque, o sei piatti; qualche cosa di buono. Sì, ordina tu, fatti onore. Vado a prender l'amico, che è qui poco lontano; e quando torno, fa', che sia preparato. Tieni questo foglio, mettilo nel baule. Bada bene veh, che è una lettera di cambio di quattro mila scudi. Fa' che sia tutto pronto. (Povero signor Pantalone, ha avuto la gran paura. Ha bisogno di essere divertito). Che cosa fai ginocchioni? Che foglio è quello? Quella è la mia cambiale. Briccone! Così tieni conto delle cose mie? Di cose di tanta importanza? Tu meriteresti, che io ti bastonassi. Che dite, signor Pantalone? Si può vedere una sciocchezza maggior di questa? Tant'era, se la cambiale veniva di lontan paese. Ignorantaccio! Va' via di qua. Va' via, ti dico. Lo fa lo sciocco, il briccone. E bene, ci darete voi da pranzo? Sentite? Regolatevi voi. Sentite? Delle polpette. Dite a Truffaldino, che venga a servire. Il signor Pantalone si contenterà di quel poco, che ci daranno. Ho piacere d'essere arrivato in tempo. Brighella è un uomo di garbo. In Turino serviva un gran cavaliere, e porta ancora la sua livrea. Non vi è maggior piacere al mondo, oltre quello di essere in buona compagnia. Avete dunque goduto molto con questi? Va' innanzi tu; metti giù la zuppa. Io vorrei meno spirito, e più attenzione. Truffaldino. Truffaldino. Vieni a servire. Oh, guardate, che discretezza della mia padrona! Mandarmi con un viglietto ad una locanda! Ad una locanda una giovane come me! Servire una donna innamorata è una cosa molto cattiva. Fa mille stravaganze questa mia padrona; e quel che non so capire si è, che è innamorata del signor Silvio, a segno di sbudellarsi per amor suo, e pur manda i viglietti ad un altro. Quando non fosse, che ne volesse uno per la state, e l'altro per l'inverno. Basta... Io nella locanda non entro certo. Chiamerò; qualcheduno uscirà. O di casa! o dalla locanda! (Mi vergogno davvero, davvero). Ditemi... Un certo signor Federigo Rasponi è alloggiato in questa locanda? Avrei da dirgli una cosa. Ehi, chi vi credete, ch'io sia? Sono la cameriera della sua sposa. Oh non ci vengo io là dentro. Il mio padrone? Peggio! Oh non ci vengo. Quel moretto? Sì, mandatelo. Se il padrone mi vede, che cosa le dirò? Dirò, che venivo in traccia di lui; eccola bella, e accomodata. Oh non mi mancano ripieghi. Sono io, signore. Mi dispiace avervi incomodato. M'immagino, che foste a tavola per quel, ch'io vedo. Davvero me ne dispiace. (Egli è pure grazioso!). (Mi ha detto cara). La mia padrona manda questo viglietto al signor Federigo Rasponi; io nella locanda non voglio entrare, onde ho pensato di dar a voi quest'incomodo che siete il suo servitore. Per parte di chi? Mi pare averlo sentito nominare una volta, ma non me ne ricordo. (Avrebbe a esser lui questo). Io non lo conosco assolutamente. Oh! mi burlate. Dirò, signore; se lo vedessi, e mi desse nel genio, sarebbe facile, che io gli corrispondessi. Lo vederò volentieri. Non è lui dunque. Quest'istoria non la capisco. Chi? Io non ho veduto altri, che voi. Siete voi forse quello, che dice di volermi bene? Perché non me l'avete detto alla prima? (Farebbe innamorate i sassi). Dico che... Oh anch'io sono vergognosetta. In verità; voi mi date nel genio. Oh non si domanda nemmeno. Anzi vuol dir, sì certissimo. Io mi sarei maritata cinquanta volte, ma non ho mai trovato una persona, che mi dia nel genio. In verità, bisogna, che io lo dica, voi avete un non so che... Basta, non dico altro. Io non ho né padre, né madre. Bisognerebbe dirlo al mio padrone, o alla mia padrona. Diranno, che se sono contenta io... Dirò... che se sono contenti loro... Ecco la lettera. Non lo so; e se sapeste che curiosità, che averei di saperlo! Chi sa? D'amore non dovrebbe essere. Si potrebbe aprirla... ma poi a serrarla ti voglio. Apriamola dunque. Un poco. Ma voi saprete legger bene. Sentiamo dunque. Oh! che avete fatto? Via leggetela. Per dirla io non capisco niente. Che serviva dunque aprirla? Anch'io intendo qualche lettera. Oibò; questo è un erre. Ri, ri, a, ria. No, no, state cheto, che credo sia un emme: mi, mi, a, mia No, che vi è la codetta. Niente, signore, venivo in traccia di voi. La padrona vi cerca. Che foglio è quello? Lascia vedere. Come! Questo è un viglietto, che viene a me. Indegno! Sempre si aprono le mie lettere? Osservate, signor Pantalone, un viglietto della signora Clarice, in cui mi avvisa delle pazze gelosie di Silvio; e questo briccone me l'apre. Io non so niente, signore. Chi l'ha aperto questo viglietto? Nemmen io. Truffaldino lo portava al suo padrone. (Chiacchierone, non ti voglio più bene). Le mani nel viso non me le ha date nessuno; e mi maraviglio di voi. Eh non mi pigliate. Avete degl'impedimenti, che non potete correre. (Povera Clarice, ella è disperata per la gelosia di Silvio; converrà ch'io mi scopra, e che la consoli). Dove vai? Perché hai aperta questa lettera? Che Smeraldina? Tu sei stato, briccone. Una, e una due. Due lettere mi hai aperte in un giorno. Vieni qui. Vien qui, dico. Tieni, briccone. Imparerai a aprirle lettere. Credetemi, signor Pantalone, che l'ultima partita di specchi, e cere è duplicata. Ho fatto anch'io un estratto di diverse partite cavate dai nostri libri. Ora lo riscontreremo. Può darsi, che si dilucidi, o per voi, o per me, Truffaldino? Hai tu le chiavi del mio baule? Perché l'hai portato in sala il mio baule? Hai fatto? Apri e dammi... Quell'altro baule di chi è? Dammi un libro di memorie, che troverai nel baule. E può essere, che così vada bene; lo riscontreremo. Sarà questo. No, non è questo... Di chi è questo libro? (Queste sono due lettere da me scritte a Florindo. Oimè! Queste memorie, questi conti appartengono a lui! Sudo, tremo, non so in che mondo mi sia). Niente. (Truffaldino, come nel mio baule evvi questo libro, che non è mio?). Presto, non ti confondere, dimmi la verità. Questo libro è tuo, e non lo conosci, e me lo dai in vece del mio? E dove hai avuto tu questo libro? Quanto tempo è? Come può darsi, se io ti ho ritrovato a Verona? (Misera me!) Questo tuo padrone aveva nome Florindo? Di famiglia Aretusi? Ed è morto sicuramente? Di che male è egli morto? Dove è stato sepolto? Oh me infelice! Morto è Florindo, morto è il mio bene, morta è l'unica mia speranza. A che ora mi serve questa inutile vita, se morto è quello, per cui unicamente viveva? Oh vane lusinghe! Oh cure gettate al vento! Infelici strattagemmi d'amore! Lascio la patria, abbandono i parenti, vesto spoglie virili, mi avventuro a' pericoli, azzardo la vita istessa, tutto fo per Florindo, e il mio Florindo è morto. Sventurata Beatrice! Era poco la perdita del fratello, se non ti si aggiungeva quella ancor dello sposo? Alla morte di Federigo volle il Cielo, che succedesse quella ancor di Florindo. Ma se io fui la cagione delle morti loro, se io sono la rea, perché contro di me non s'arma il Cielo a vendetta? Inutile è il pianto, vane son le querele, Florindo è morto. Itene al suolo inutili spoglie, menzognere divise. Oimè! Il dolore mi opprime. Più non veggo la luce. Idolo mio, caro sposo, ti seguirò disperata. Lasciatemi per carità. Non vi riuscirà d'impedirmi. Florindo! Siete in vita? Oh sorte! Una falsa novella della vostra morte. Il mio servitore. Questo libro fu cagion, ch'io gli prestai fede. Quei ribaldi de' nostri servi, sa il Cielo che cosa avranno fatto. Essi sono stati la causa del nostro dolore, e della nostra disperazione. Ed altrettante ne ho io di voi dal servo mio tollerate. Più non si vedono. Ci sono giunta stamane. La fortuna ci ha voluto un po' tormentare. Ne dubitate? Spirò sul colpo. Quest'è un inganno di chi sinora mi ha preso per Federigo. Partii di Turino con questi abiti, e questo nome sol per seguire... Come giunse nelle vostre mani? Giustissima curiosità di un amante. Se tornerò colà vostra sposa, ogni discorso sarà finito. I capitali, ch'io porterò di Venezia vi potranno liberare dal bando; finalmente voi non l'avete ucciso. Che mai li ha indotti a darci sì gran dolore? Mi sforzerò di dissimulare. Ha cera di essere il più briccone. Non ti vogliamo fare alcun male. (Gran discorso lungo gli fa colui. Son curiosa di saperne il mistero). È ancor finito questo lungo esame? (Che lungo discorso hai tenuto con signor Florindo)? (Perché accusarti di una colpa, che asserisci di non avere?). (Chi?). (Pasquale, e voi siete due bricconi). È vero, ma il vostro servitore... Orsù, io andar dovrei dal signor Pantalone de' Bisognosi, vi sentireste voi di venir con me? Sì, voglio andarvi subito. Vi aspetterò dal signor Pantalone, di là non parto, se non venite. Bene, vado in camera a terminar di vestirmi. Caro Florindo, gran pene che ho provate per voi. Eccomi lesta. Non istò bene vestita così? Orsù, vi aspetto dal signor Pantalone; fatevi accompagnare da Truffaldino. Mostratemi l'amor vostro nella vostra sollecitudine. (Sì, lo accompagnerai dal signor Pantalone). Servilo, mi farai cosa grata. (Lo amo più di me stessa). Via, signora padrona, che cosa volete fare? Gli uomini, poco più, poco meno, con noi sono tutti crudeli. Pretendono un'esattissima fedeltà, e per ogni leggiero sospetto ci strapazzano, ci maltrattano, ci vorrebbero veder morire. Già con uno, o con l'altro avete da maritarvi; dirò, come si dice agli ammalati, giacché avete da prender la medicina, prendetela. Crudele! (Il sospiro è come il lampo: foriero di pioggia). Crudele! Fatta, fatta. Ingrato! Inumano! Cane! Ah! Ah! vi ho perdonato! L'ammalato è disposto, dategli il medicamento. Povera signora Beatrice, mi consolo, che sia in buono stato. Sì, moltissima. Ah briccone! (Eh, tutti due sanno fare la loro parte). Signori, eccomi qui a chiedervi scusa, a domandarvi perdono, se per cagione mia aveste dei disturbi... Niente, amica, venite qui. Come! Nemmeno una donna? Amore fa fare delle gran cose. Sì, il Cielo mi ha consolata. Signore, voi non c'entrate ne' fatti miei. Ehi, signore, vi sarebbe il mio. Col primo, che viene. Voi? Per far che? Non vi è bisogno di voi. (Ha paura che glielo mangino. Ci ha preso gusto). Il signor Florindo dov'è? Vi contentate, signor Pantalone, che passi il signor Florindo? Sì, il mio sposo. Fa', che passi. Addio, morettino. Di che? Perché no? Signora padrona, con licenza di questi signori, vorrei pregarla di una carità. Che cosa vuoi? (Anch'io sono una povera giovine, che cerco di collocarmi, vi è il servitore della signora Beatrice, che mi vorrebbe; s'ella dicesse una parola alla sua padrona, che si contentasse, ch'ei mi prendesse, spererei di fare la mia fortuna). (Sì, cara Smeraldina, lo farò volentieri; subito, che potrò parlare a Beatrice con libertà, lo farò certamente). Niente, signore. Mi diceva una cosa. (Gran curiosità! E poi diranno di noi altre donne). Eccola, signor Florindo. (Eh non si fanno pregare). Amica, me ne consolo. Ed io di cuore con voi. Potere dire chi vi ha donato la vita. In grazia mia però. (Oh bella! Un altro, che mi vuole. Chi diavolo è? Almeno che lo conoscessi). Se potessi credere d'avere a star bene... Signor Florindo; voi mi avete prevenuta in una cosa, che dovevo far io. Doveva io proporre le nozze della mia cameriera per il servitore della signora Beatrice. Voi l'avete chiesta per il vostro; non occorr'altro. Non sarà mai vero, che voglia io permettere, che le mie premure sieno preferite alle vostre. E poi non ho, per dirvela, certo impegno. Proseguite pure nel vostro. Se non la sposa il vostro, non l'ha da sposare nemmeno quell'altro. La cosa ha da essere per lo meno del pari. (Sto a vedere, che di due, non ne averò nessuno). Né io permetterò mai, che sia fatto al signor FIorindo. Dovevo parlarne sicuramente. Che dici? Di te. eccolo qui. Non è Truffaldino? Il vostro non è Pasquale? Come va la faccenda? Ah galeotto!